Arte al Femminile Storia dell'Arte

Oltre ogni limite: Marina Abramović la regina della Performance Art

“Un artista non deve mentire a sé stesso o agli altri. Un artista non deve rubare idee agli altri artisti. Un artista non deve fare compromessi con sé stesso o con il mercato dell’arte. Un artista non deve uccidere un altro essere umano. Un artista non deve trasformarsi in un idolo. Un artista deve evitare di innamorarsi di un altro artista. Un artista deve evitare di innamorarsi di un altro artista. Un artista deve evitare di innamorarsi di un altro artista”. 

(Marina Abramović, i nove punti del suo manifesto ideale)

Affascinante, cruda, tenebrosa, estrema, drammatica, potente, cosciente. Sono solo alcuni degli aggettivi con cui potremmo definire questa incredibile donna ed artista. Marina Abramović regina globale della Body Art nasce a Belgrado il 30 Novembre 1946. Attiva fin dagli anni sessanta del XX secolo, si è autodefinita la “nonna della performance art”: il suo lavoro esplora le relazioni tra l’artista e il pubblico, e il contrasto tra i limiti del corpo e le possibilità mentali. 

La sua arte performativa genera curiosità ma allo stesso tempo paura per chi la osserva. In tante occasioni, forse troppe, ha messo a repentaglio la sua stessa vita, per constatare fino a che punto poteva spingere il suo corpo e vedere fin dove lei poteva resistere, affermando:

“Avevo sperimentato la libertà assoluta. Avevo percepito il mio corpo senza limiti. Avevo provato che quel dolore non aveva importanza. Avevo trovato il mio mezzo espressivo

Le sue performance cariche di coraggio, dolore e significato lasciano sempre di stucco il pubblico. Ha deciso che sarebbe diventata un’artista sin dalla sua tenera età, quando a dodici anni ricevette in dono dal padre la sua prima scatola di colori, ignara del successo che avrebbe avuto grazie alle sue performance in età adulta. 

Ogni parola usata per raccontare la sua vita sembra superflua, ma non scontata, poiché si tratta di un’artista il cui lavoro è in continua evoluzione. Uno fra i tanti aspetti che ha fatto innamorare il mondo intero di lei è il modo in cui grazie alle sue performance riesce a colpire la sensibilità della gente, le sue opere vogliono arrivare al lato vulnerabile delle persone, alla reazione di istinto, senza il bisogno di dare per forza un significato a ciò che accade in quel momento.

La sua produzione artistica inizia nel 1973 con quella che sarebbe divenuta la serie Rhythm:

Usando venti coltelli e due registratori, l’artista esegue un gioco russo nel quale ritmici colpi di coltello sono diretti tra le dita aperte della mano. Ogni volta che si taglia, deve prendere un nuovo coltello dalla fila dei venti che ha predisposto e l’operazione viene registrata. Dopo essersi tagliata venti volte, l’esecutore fa scorrere la registrazione, ascolta i suoni e tenta di ripetere gli stessi movimenti, cercando di replicare gli errori, mescolando passato e presente. Una performance da brividi. Il prossimo “ritmo” si potrebbe definire quasi “asfissiante”.

Nella seguente performance l’artista decide di sfidare i limiti del proprio corpo. Costruì una stella comunista a cinque punte in legno a cui diede fuoco dopo averla immersa in 100 litri di benzina. Si tagliò le unghie e delle ciocche di capelli e li gettò nel fuoco creando delle scintille, e successivamente decise di saltare oltre le fiamme posizionandosi al centro della stella completamente avvolta dal rogo. L’aria si fece irrespirabile e la performer perse i sensi. Qualcuno fra il pubblico si rese conto che l’artista era svenuta a causa del fumo asfissiante. Riuscirono in tempo a salvarle la vita.

Nonostante ciò la Abramović più tardi commentò a riguardo:

“Ero molto arrabbiata perché avevo capito che c’è un limite fisico: quando perdi conoscenza non puoi essere presente; non puoi esibirti.” (Daneri, 29)

Nella precedente performance l’artista perse conoscenza, interrompendo involontariamente l’esibizione in atto. Pensò dunque ad una forma di performance in cui potesse usare il corpo con e senza coscienza senza interrompere l’esibizione. Di fatto ingerì dei farmaci solitamente usati per i pazienti affetti da catatonia e schizofrenia ed ha filmato i risultati davanti ad un pubblico. 

Questa performance è stata mostrata in due parti nell’arco di sette ore, divise tra le esperienze di ciascuna delle due pillole che ha ingerito. Questa volta il titolo Ritmo 2, si riferisce alle due pillole. A causa della sua mancanza di controllo sugli effetti delle pillole, l’artista si è sacrificata sia psicologicamente che fisicamente pur mantenendo una mente attiva, nonostante le convulsioni, le allucinazioni e gli stati di incoscienza.

“Credo cosi tanto nel potere delle performance che non voglio convincere nessuno. Voglio che gli spettatori facciano esperienza della mia performance e se ne vadano via con le loro convinzioni”.  (M. Abramović)

Marina decise che questa serie ritmica avrebbe dovuto lasciare un segno nella mente del suo pubblico, pertanto, mise ancora una volta il suo corpo a dura prova in Rhythm 4. Tale performance è stata registrata e poi proiettata per il pubblico nella stanza accanto. 

L’artista è inginocchiata su di un ventilatore industriale ad alta potenza, ed avvicinandosi il più possibile al ventilatore ha cercato di inspirare quanta più aria possibile, spingendo i limiti dei suoi polmoni. Poco dopo, perse conoscenza. Diede comunque chiare istruzioni di non volere aiuto in caso di perdita di coscienza, data la reazione del pubblico in Rhythm 5.

Per sua sfortuna la moralità del pubblico ha ostacolato la sua resa fisica poiché, dopo aver perso i sensi per diversi minuti, il cameraman si è rifiutato di continuare l’esibizione ed ha inviato il personale della galleria ad aiutarla. Questa continua voglia di mettersi alla prova, pur sapendo di sfiorare il pericolo è assolutamente incredibile.

Marina Abramović, Rhythm 2, 1974

Si racconta, in maniera rude, attraverso le sue performance, con la volontà di concedersi sempre un po’ di più al pubblico. Alcune delle sue esibizioni non sono state capite, e in altri casi hanno fatto davvero paura, non soltanto per il tema scelto ma bensì per ciò che sarebbe potuto succedere da un momento all’altro. 

Eppure, c’è un lato di Marina che non conosciamo, forse quello più “umano”, quello che più consideriamo “normale”, lo dichiara lei stessa in un’intervista fatta dal corriere della sera:

“Sono simpatica, ironica e divertente. Quando le persone conoscono il mio lavoro hanno timore ad incontrarmi, ma quelli che mi conoscono veramente non riescono a credere che io realizzi opere così serie, perché sono buffa. Mi piace la vita, mi piace scherzare. Adoro il cioccolato, guardo film trash, mi diverto con gli amici e questa è una parte importantissima della mia vita. Durante questo lockdown ho cucinato come una matta, sono appena stata in Texas dove ho fatto una gara a chi cucinava meglio l’agnello. E l’ho persa, perché in Texas non puoi vincere una competizione del genere. Ero molto incavolata, non mi piace perdere”.

Poco dopo, a Napoli, esegue l’ultima performance della serie ritmica intitolata Rhythm 0 affermando:

“Questo lavoro ha svelato qualcosa di terribile riguardo l’umanità. Ha dimostrato che in circostanze favorevoli, le persone non esitano a farti del male. Ha mostrato quanto sia facile disumanizzare una persona che non si difende e quanto sia alta la probabilità che anche le persone più normali possano diventare tremendamente violente”

Tale performance avviene all’interno dello Studio Morra a Napoli. Marina si presenta al pubblico adagiando su un tavolo diversi strumenti di “piacere” e “dolore”. Fu comunicato ai presenti che per un periodo di sei ore l’artista sarebbe rimasta passivamente priva di volontà e avrebbero potuto usare liberamente quegli strumenti con qualsiasi volontà.Ciò che era iniziato in maniera pacata per le prime ore esplose poi in uno spettacolo pericoloso e incontrollato. Tutti i suoi vestiti vennero tagliuzzati con le lamette e nella quarta ora le stesse lamette furono usate per tagliare la sua pelle e succhiare il suo sangue. Il pubblico si rese conto che quella donna non avrebbe fatto niente per proteggersi ed era probabile che potesse venir violentata.

Si sviluppò dunque tra il pubblico, un gruppo di protezione e, quando le fu messa in mano una pistola carica e il suo dito posto sul grilletto, scoppiò una sorta di rissa verbale tra il gruppo degli istigatori e quello dei protettori. Mettendo il proprio corpo in condizione di essere leso, anche fino alla morte, la Abramović aveva creato un’opera artistica davvero seria, ossia affrontare le sue paure in relazione al proprio corpo.

“Sono arrivata alla conclusione che… la performance non ha senso senza il pubblico perché, come diceva Duchamp, è il pubblico che completa l’opera d’arte. Nel caso della performance, direi che pubblico e performer non sono solo complementari ma quasi inseparabili”.

Nel corso della sua vita ebbe al suo fianco l’artista Frank Uwe Laysiepen, in arte Ulay, fu amore a prima vista, una passione che durò per dodici anni e che finì a causa del rapporto entrato in crisi. 

Nel 1988 decisero di dirsi addio e lo fecero in una maniera fuori dal comune. Entrambi percorsero la Muraglia Cinese dai due estremi opposti. Novanta giorni di viaggio, per un totale di 2500 km, per poi incrociarsi e dirsi addio. Il pubblico in lacrime nel ritrovarli dopo 23 anni, in occasione di The Artist is Present, la celebre performance della Abramovic, che ebbe luogo nel 2010 al MoMA di New York. 

Per tre mesi lei restò seduta, sette ore al giorno, dinanzi a un tavolo con di fronte una sedia vuota. A turno un visitatore poteva sedersi, guardandola in silenzio per due minuti. 

Uno di questi fu proprio Ulay e le reazioni di entrambi furono incredibilmente toccanti. I loro occhi si sono detti tutto ciò che non hanno potuto dirsi negli anni che sono stati distanti l’uno dall’altra. Nessuno potrà mai dimenticare l’espressione sorpresa e allo stesso tempo imbarazzata della Abramovic, seguita successivamente da un pianto liberatorio di commozione. Si guardarono intensamente per quei due minuti, e quello sguardo si sciolse in una commovente stretta di mano. Hanno saputo rendere “intimo” quel momento stando davanti gli occhi di tutti, una sorta di performance nella performance.

“Quand’è il tuo compleanno? – chiese Ulay. Il 30 Novembre – risposi. Impossibile – fece lui – quello è il mio compleanno”, ma dai! – risposi”

In questa performance Marina decide di mettere in mostra la parte più spirituale del suo essere. Basta tagli, basta perdite di coscienza, basta con il dolore fisico. 

Quello che più emerge da questa performance è il dolore spirituale. Quel dolore nascosto impercettibile all’occhio umano, quello che forse risiede dentro ognuno di noi, nel nostro profondo. A fare da padrona è questa sorta di forza empatica che Marina trasmette alla persona di fronte e viceversa.

“Ci siamo solo io e te. Ci sono solo i nostri occhi e il nostro sguardo. Questa è vera comunione. Questo momento ha più senso si ogni cosa.”

La carriera artistica di Marina Abramovic è davvero ricca, ed in continua evoluzione. Nonostante i suoi 75 anni l’artista è ancora attiva. Attendiamo la prossima, sicuramente incredibile, esibizione della nostra regina della performance.

Samantha Rita LeonardoExhibition Designer e Storica dell’arte, consegue all’Accademia di Belle Arti di Palermo la laurea di II livello in Progettazione degli Allestimenti Museali. Ha al suo attivo la partecipazione a diverse mostre, sia per quanto riguarda la mediazione culturale, sia per la progettazione e la realizzazione delle stesse. I suoi ambiti di attività scientifica e di ricerca, sono indirizzati entrambi verso nuovi orientamenti, museografici e museologici, legati alla disabilità in ambito museale, ed inoltre all’arte contemporanea. Scrive per Art-Exhibition di cui è anche co-fondatrice.

Samantha Rita Leonardo

Samantha Rita Leonardo, Exhibition Designer e Storica dell’arte, consegue la laurea in Allestimenti Museali presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo. Ha al suo attivo la partecipazione a diverse mostre, sia per quanto riguarda la mediazione culturale, sia per la progettazione e la realizzazione delle stesse, tra cui: Julieta Aranda, As the Ground Becomes Exposed, presso la Galleria FPAC; Le Stanze d’Aragona. Pratiche pittoriche in Italia all’alba del nuovo millennio, organizzata dalla Rizzuto Gallery; Manifesta 12 a Palermo - Renato Leotta “La notte di San Lorenzo”. I suoi ambiti di attività scientifica e di ricerca, sono indirizzati entrambi verso nuovi orientamenti, museografici e museologici, legati alla disabilità in ambito museale, ed inoltre all’arte contemporanea. Tra le sue pubblicazioni: diversi articoli per «Art-Exhibition.it»; il saggio - in abito sociale - dal titolo L’impatto dei social nella mente umana, in Moderne Sirene. Generazione social, edito da Scarenz; con Youcanprint ha pubblicato il catalogo della mostra "I Segni dell'Arte" di cui è stata anche curatrice.

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