Riscrivere lo spazio contemporaneo, approcciare alla conoscenza per mezzo di una percezione liquida, attiva. Gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso hanno visto il delinearsi effettivo di un percorso, che ha portato l’espressione fotografica ad essere riconosciuta come forma d’arte autonoma. In un’intervista del 1988, rilasciata a Giovanni Minelli, Thomas Struth ripercorre i primi anni della sua carriera, riconoscendo alla fotografia il potenziale di una carica informativa, che, esaltando le differenze e le mutabili sfumature, può essere adoperata come strumento di decodifica del reale.
Dettagli che il fotografo tedesco porta alla luce anche mediante il ricorso alla ripetizione e alla serialità della scelta progettuale, a proposito della quale, afferma:
Per me la serialità ha una funzione simile a quella delle coordinate cartesiane: si hanno diversi livelli di contenuto e, quando li si combina, si ottengono figure interessanti.
La ripetizione, il vitale confronto con il mezzo fotografico, nonché il continuo interrogarsi sul soggetto d’arte, fanno da punto cardine per la poetica dell’artista irlandese Colm Mac Athlaoich, che a proposito del dialogo tra più opere pittoriche facenti parte di una stessa serie, dichiara:
Mi piace pensare a una serie come la creazione di stabilità con un’idea. E’ affascinante il modo diverso di guardare un dipinto a seconda che si tratti di un’opera singola o di una parte del tutto. Il rilievo di una singola immagine richiede un’attenzione diversa. Una serie digerisce e rimugina l’immagine iniziale e, così facendo, richiama la mia attenzione sulle qualità fondamentali della fonte iniziale.
E’ allora possibile pensare al sequenziamento dell’arte come un vero e proprio, prolifico espediente linguistico e discorsivo, caro all’universo del contemporaneo?
Thomas Struth
Scattare una fotografia è per lo più un processo intellettuale di comprensione delle persone, delle città e delle loro connessioni storiche e fenomenologiche. A quel punto la foto è quasi fatta, e tutto ciò che rimane è il processo meccanico.
Thomas Struth nasce a Geldern, in Germania, nel 1954. I suoi primi passi nel mondo dell’arte muovono nel segno della pittura. Gli studi da Gerhard Richter saranno per lui l’occasione di un dialogo attento e riflessivo con il soggetto d’arte, indipendentemente dal mezzo utilizzato per la creazione. Insegnamento questo che rimarrà un imprescindibile caposaldo della sua arte.
Le immagini, che abitano la tela pittorica di Struth, constano già di uno stretto legame con il documento fotografico, poiché prendono avvio dai primi scatti realizzati dal giovane fotografo nell’area metropolitana. L’iscrizione all’Accademia d’arte di Düsseldorf e l’incontro con Bernd e Hilla Becher, saranno poi decisivi per la sua consacrazione alla fotografia.
Nell’ operato di Struth sarà sempre vivo un approccio serrato tanto con l’indagine della visione quanto con la riflessione, così come la convinzione che l’espressione fotografica dia la possibilità di delineare un’informazione che, tralasciando le semplificazioni dell’universo dei mass media, possa dar voce all’immagine di una realtà complessa. Un tale panorama necessita inevitabilmente della decodifica di più stadi e interventi di osservazione.
Come ben spiegato da Urs Stahel, curatore della mostra Thomas Struth Nature& Politics, ospitata al MAST di Bologna nel 2019:
Con la consueta precisione e meticolosità e con una spiccata sensibilità estetica, Thomas Struth realizza grandiose immagini del mondo.
Colm Mac Athlaoich
Un dipinto è sempre incompiuto. Quando il pittore lascia il pennello, per l’osservatore è il momento di elaborare il tempo della visione. Le vibrazioni tra pensare, fare e vedere, portano a riflettere su quel che vi è dietro un’immagine. Quindi, a considerare i diversi livelli che appartengono alla superficie. Guardare un dipinto significa entrare in contatto con un agglomerato di sensazioni.
La pittura non è solo per il piacere retinico, ma si attua in una superficie stratificata che va incontro al fruitore fisicamente, psicologicamente e temporaneamente.
Questo evento stabilisce una dialettica, crea uno sguardo nuovo, in cui la pittura traccia un soggetto e viceversa.
Colm Mac Athlaoich, classe 1980, è un artista irlandese, attualmente residente a Bruxelles. Mac Athlaoich, partendo e traendo difatti ispirazione dal caotico universo mediatico, con la sua arte percorre e delinea una visione alternativa di temi estremamente caldi, come il conflitto, le migrazioni, il rapporto dell’individuo con i mezzi della comunicazione e della stampa.
Un puntuale lavoro di rielaborazione: disegni, ritagli, ricomposizioni, editing digitale, costituiscono il tratto caratteristico di un processo, che pare condensarsi nel continuo dialogo tra la figurazione delle fonti e una rielaborazione, che mira all’astrazione:
Del processo di pittura, mi interessano le sfumature accidentali […] la narrazione è contenuta nella rivisitazione delle sfumature di un’azione […]; mi piace pensare che lo spettatore trovi ‘qualcos’altro’ nell’immagine, qualcosa che lo riguardi personalmente, permettendo all’immagine di continuare ad esistere senza un ‘punto fermo’.
Forse il motivo per cui sono attratto dall’astrazione è che mi piace lasciare l’immagine irrisolta […] C’è sempre un attrito con la realizzazione dell’immagine: sarà quasi riconoscibile, poi non lo è più.
E’ sempre una sfida con te stesso: stai lottando per risolvere un’immagine e poi devi tirarti indietro; fermarti.
Se la fase di partenza trae origine dall’incontro con la fotografia, è nei dipinti materici e stratificati, che muove l’invito per il fruitore ad adoperare uno sguardo libero, liquido e dinamico, dove ogni «frammento di visione, ogni stralcio, ogni piega», divengono l’occasione per un’indagine linguistica, che mira ad aprire ad un ‘modo altro’ di percepire la quotidianità e il suo panorama visivo.
Uno ‘spazio striato’: tra conoscenza e percezione
[…] lo spazio liscio non cessa di essere tradotto, intersecato in uno spazio striato; lo spazio striato è costantemente restituito ad uno spazio liscio. (Deleuze, 1980)
Volendo ricorrere alla terminologia condivisa da Gilles Deleuze e Felix Guattari, la decodifica semiologica e sensoriale del reale, ‘ri-percorsa’ da Struth e Mac Athlaoich, sembra porsi in un continuo raffronto tra uno spazio liscio ed uno spazio striato: complesso, frammentario, soggetto a continuo mutamento, fecondo in termini di lettura e percezione.
Lavorare con opere o fotografie riunite in una specifica serie, diviene l’occasione per instaurare un dialogo intellettivo con il pubblico. Se ogni immagine, infatti, può dichiararsi autonoma ed esplicativa nel suo mostrarsi in solitaria, è nell’incontro con altre «declinazioni della stessa mente creatrice» che il suo racconto sembra esplicarsi al meglio. Lasciando una traccia, invitando alla riflessione.
Mac Athlaoich, a partire dal 2021, ha dato avvio ad una serie di quattro esposizioni a carattere internazionale dal titolo Percept, Percept/Pathos, Percept/Logos, Percept/Ethos. Come esplicato dalla terminologia prescelta, l’intenzione dell’artista è quella di affrontare e snocciolare l’arduo rapporto esistente tra la contemplazione e la percezione. Ogni opera, seppur forte della propria autonomia segnica ed espressiva, sembra richiedere sentimentalmente un dialogo con le altre creazioni, che accompagnano il percorso espositivo. In egual maniera l’artista, lontano da voler tracciare una «strada maestra per l’interpretazione», accetta di buon grado che ogni punto di approdo, ogni scambio percettivo e narrativo con l’osservatore, possa esser l’occasione di una nuova partenza ideativa.
Riguardo Percept/Logos, ospitata alla galleria HangTough Contemporary di Dublino nell’agosto 2021, Els Opsomer aggiunge:
I tuoi dipinti sono stratificati. Quando appaiono s’interrogano, c’è anche una certa riluttanza nei tuoi scioperi. C’è l’immobilità e la bellezza che rendono il fruitore desideroso di guardare con grande attenzione. […] la caratteristica è la poesia dell’osservazione.
[…] “The World Given at Noon” è disponibile in diverse varianti: 1,2,3. Le ripetizioni danno riposo, morbidezza, comprensione.
E’ un invito a guardare e rivedere il dipinto, a immaginare la fonte madre.
[…] Elementi pittorici, strati aggiunti, sovrapposizione di persone e bandiere […] riluttanza ovunque. Tu e i tuoi dipinti sembrate interrogare l’umanità.
Nel 1979 Thomas Struth, in collaborazione con l’amico e collega Alex Hütte, soggiorna a Londra per due mesi, trovando nell’East End l’ispirazione per realizzare scatti sul rapporto uomo/città. Tali osservazioni andranno ad esplicarsi in quella fase progettuale, che approda alla creazione di vere e proprie serie fotografiche, percorse da una decisa carica discorsiva:
Potrei scrivere un testo, ma poiché non sono uno scrittore, utilizzo il linguaggio della fotografia.
Come per i frammenti di un enigma, ogni fotografia offerta da Struth illustra la ‘sua realtà’ con scrupolo di dettaglio; possedere più di un frammento, quindi trovarsi di fronte ad una serie di fotografie del grande maestro, significa entrare in relazione e «percepire tutta la complessità, la portata, la forza dei processi» che ogni frammento, di primo acchito, sembra celare.
A tal proposito ritorna la mostra Thomas Struth Nature& Politics, tenutasi al MAST di Bologna nel 2019, dove sono state esposte una serie di fotografie, scattate in siti industriali e strutture di ricerca scientifica, sparse nel mondo.
Come affermato dal fotografo, in una intervista esclusiva rilasciata a Marco Lo Presti, per ArtsLife:
L’aspetto migliore di questi lavori è stato quello di essere un ‘non specialist’, in grado, quindi, di osservare ed immortalare quelle caratteristiche degli ambienti e delle infrastrutture che i ricercatori e gli scienziati [per consuetudine] non vedono più.
L’ambiente che ospita l’esperimento, per chi non fa parte del settore o non dispone delle informazioni tecniche per comprenderlo, può sembrare più simile ad una sala allestita per una festa di bambini. Quest’opera ci racconta ironicamente le problematiche comunicative e di comprensione tra gli uomini, evidenziando come un ambiente possa essere visto con occhi diversi, a seconda delle diverse prospettive.
Una realtà ‘striata’, un panorama che nella sua complessità e criticità, offre importanti spunti per ri-elaborare il presente, auspicare il futuro.
Riferimenti bibliografici
Alfano Miglietti F., A perdita d’occhio. Visibilità e invisibilità nell’arte contemporanea, Skira, Milano 2018.
Deleuze G.,Guattari F., Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Castelvecchi, Roma 2010.
Chevrier J.F., Lingwood J. (a cura di), Un’altra oggettività/Another objectivity, Idea Books, Milano 1989.
Struth T., Buchloh B., Thomas Struth Photographs, Reinassance Society-University of Chicago, Chicago 1990.
Testi delle mostre
Percept/Ethos, testo a cura di V.Ceregini, Galleria Weber&Weber, Torino 2021.
Percept/Logos, testo a cura di E. Opsomer, HangTough Contemporary, Dublino 2021.
Percept/Pathos, Colm Mac Athlaoich in conversazione con Erik Bergrin, Grove Collective, Londra 2021.
Percept, Colm Mac Athlaoich in conversazione con Antoine Langenieux-Villard e Amelia Bowles, Luan Gallery, Athlone 2021.
Articoli
Lo Presti M., L’arte di rendere visibile l’invisibile. Intervista esclusiva a Thomas Struth, in “Artlife”, 19 novembre 2018.